[Non creda il volgo analfabeta]
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 163, p. 3
Data: 10 luglio 1955
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Non creda il volgo analfabeta di umiltà per l'incommensurabile e frivolo che l'arte dello scrivere sia per eccellenza quella più lontana da ogni rischio e pericolo e che sia riserbata agli uomini di penna la più sicura e paciosa vita del mondo. Anche per gli scrittori è spesso vera la terribile sentenza di Pascal: « Le dernier acte est toujours sanglant ».
Anche la letteratura italiana ha i suoi martiri ai quali la vita fu troncata anzitempo dalle mani altrui o dalle proprie.
Lascerò stare i più antichi, ma non posso dimenticare il poeta Pier delle Vigne che si ammazzò in carcere (1249), nè l'autore dell'Acerba, Cecco d'Ascoli, che fu arso a Firenze nel 1327.
Cominciando dal Cinquecento troviamo il poeta Marullo che annegò nel Cecina (1500); Francesco Berni che morì avvelenato per ordine del Cardinale Cybo, nel 1535; Lorenzino dei Medici, assassinato a Venezia dai sicari di Cosimo. duca di Firenze (1548): Jacopo Bonfadio, poeta e storico, che fu decapitato a Genova nel 1550; Niccolò Franco, il famigerato rimatore e libellista che fu impiccato a Roma nel 1570.
Del secolo seguente, che pure non risparmiò nè veleno, ne ferro di pugnali e di mannaie, non riesco a ricordarmi che dello storico Enrico Caterino Davila che fu assassinato da un servo nel 1631 e dell'avventuriero poligrafo Ferrante Pallavicino che fu giustiziato in Francia nel 1644.
« E qui se zompa » come scrisse quel famoso cicerone romanesco nella sua guida dell'Urbe. Si salta difatti all'Ottocento e in questo secolo e anche nel nostro si tratta di veri martiri, di nobili ed eroici martiri, morti quasi tutti nelle guerre combattute per l'Italia e dall'Italia. Si fa innanzi per primo il giovane poeta Goffredo Mameli, morto in seguito a ferite, a Roma, nel 1849; viene poi Ippolito Nievo, naufragato verso Ischia nel 1861 mentre tornava dalla Sicilia.
Nella prima guerra mondiale molti furono i giovani scrittori che lasciarono la vita mentre servivano la patria: Renato Serra (1915), Giosuè Borsi (1915), Scipio Slataper (1916) e il giovanissimo poeta Vittorio Locchi che morì anche lui in mare mentre era a bordo di una nave che fu affondata dal nemico (1917).
Tra le vittime della seconda guerra mondiale va ricordato sopra ogni altro Berto Ricci, poeta, polemista e fondatore della rivista L'Universale, che morì eroicamente in Libia nel 1941.
Anche il poeta Felice Cavallotti era un patriota ed aveva combattuto con Garibaldi, ma egli non morì in guerra, ma assai più tardi, in un disgraziato duello per ragioni politiche (1898) e del resto egli appartiene alla storia della politica assai più che a quella della letteratura, a dispetto dei molti, dei troppi versi che gli valsero il soprannome di « bardo della democrazia ».
Come si vede v'è una profonda differenza, anzi opposizione, tra il genere di morte dei letterati dei secoli più antichi e quello dei moderni. La maggior parte dei primi morì per mano di carnefici o di assassini mentre i secondi son morti quasi tutti mentre combattevano per l'Italia. E siccome siamo sempre disposti ad abbassare l'età moderna in confronto di quelle più antiche, son lieto che il martirologio dei letterati dimostri una evidente superiorità morale dei secoli più recenti.
Le cose mutano aspetto quando ci avviciniamo ai nostri giorni perchè abbiamo assistito al ritorno del peccato di Pier delle Vigne: alludo al suicidio del commediografo Marco Praga (1929); al suicidio del poeta Francesco Gaeta (1927); al suicidio del narratore Cesare Pavese (1950). Il romanziere Rocco De Zerbi, a quanto fu detto e scritto, finì suicida (1893) mentre l'avventurosa poetessa Contessa Lara morì assassinata (1896).
Se uno potesse dire assolutamente tutto su questo tema che non ha tentato, fin qui, l'immaginazione di nessuno studioso, bisognerebbe aggiungere anche quegli scrittori che corsero il pericolo di finire per morte violenta. Il primo e più famoso è Dante, che fu condannato a morte in contumacia nel 1303: Gian Battista Marino, che fu il bersaglio dell'archibugio del suo nemico letterario Gaspare Murtola; Paolo Sarpi, che fu aggredito dai sicari mandati da Roma; Traiano Boccalini del quale si disse che assaggiò il veleno degli spagnoli; Tommaso Stigliani, che fu trapassato parte a parte dalla spada del Davila, ma sopravvisse al fierissimo colpo: Giuseppe Baretti, che fu aggredito per le vie di Londra da uno sconosciuto e si difese così bene che fu lui ad ammazzare l'aggressore; Vittorio Alfieri, che, sempre a Londra, fu ferito in un duello dal marito di una sua amante.
Questa ricerca sembrerà a molti una mera ed oziosa curiosità erudita, ma costoro, anche se sono moltissimi, sbagliano. Nulla è inutile quando si tratta della storia di una civiltà e d'altra parte io sono dell'opinione di Samuel Johnson, il quale giustamente diceva che l'uomo è tanto piccola cosa che niente deve sembrargli troppo piccolo.
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